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Cosa dicono di noi

Maria Grazia Gregori, Roberto Rinaldi, Ugo Perugini, Nicola Viesti, Vincenzo Sardelli, Elena Scolari, Valentina De Simone, Francesco Chiaro, Michele Di Donato, Italo Interesse, Pasquale Bellini, Claudio Facchinelli, Giulio Baffi, Elena Scolari, Alessandro Toppi, Leonardo Mello, Stefano Serri, Andrea Porcheddu, Roberto Canavesi, Renzo Francabandera, Damiano Pignedoli, Francesca Saturnino, Ester Formato, Antonello Fazio.

 

“Esilio” è un atto d’accusa contro la società odierna, ma anche un esercizio di stile che rispecchia alla perfezione gli stilemi di Cechov. Uno spettacolo che trasfigura le angosce contemporanee in un’aura fantastica, esalta la voce della coscienza e unisce tratti da commedia dell’arte a eco kafkiane.

Una sorta di Charlot disorientato, dai baffetti sottili, dagli sproporzionati abiti maschili e dall’incedere fantozziano, interpretato da una Serena Balivo in stato di grazia; l’intercalare, sul palco e fuori campo, di una coscienza in abito bituminoso, centellinata da un Dammacco versione cammeo: protagonista di “Esilio” è un uomo contemporaneo alle prese con le proprie fragilità.

Non manca nulla in questo spettacolo surreale che usa un linguaggio icastico, esorcizza lo psicodramma con sprazzi di comicità, crea movimento con danze sghembe da carillon.

Quella di Dammacco e Balivo è la narrazione di una confessione, ma è soprattutto una scrittura della reticenza. Lo stile, semplice e sobrio, è come modellato sul tragico quotidiano, cioè sulle minute pene dell’esistenza.

“Esilio” è uno spettacolo notturno sublimato dalle note di pianoforte, che unisce un meticoloso teatro di parola alle suggestioni del teatro di figura.

 Resta la sensazione di una drammaturgia d’autore densa di riferimenti colti mai ricercati o esibiti, sempre sopiti e impliciti, spontanei, inconsciamente interiorizzati. Ne scaturisce un’arte ricercata eppure popolare, capace di toccare corde universali, poiché usa registri e linguaggi accessibili a tutti.

Vincenzo Sardelli

 

Quando a teatro riscopri il piacere di assistere ad uno spettacolo che diverte – e allo stesso tempo – ti costringe ad interrogarti sul senso della precarietà esistenziale a cui tutti siamo destinati, senti di aver condiviso un’esperienza artistica solida e matura per il suo impegno professionale e creativo. Tradurre sulla scena le inquietudini di una condizione umana, posta in essere come inutile per la società basata sul profitto, è alquanto difficile e a rischio di collisione con i linguaggi retorici dettati spesso da prese di posizione ideologiche. Questo non accade in “Esilio” per merito di Mariano Dammacco autore e regista e per la presenza in scena di Serena Balivo. “Esilio” appartiene alla “Trilogia della fine del mondo” e ha tutte le caratteristiche per essere definito un lavoro ben strutturato dove emergono i meccanismi di una costruzione drammaturgica sapiente in grado di dialogare tra palcoscenico e platea, offrendo una gamma di registri tra il surreale e l’ironico in cui l’umorismo non è che il rovescio della medaglia di una cinica disamina di un mondo che sta implodendo. L’evolversi della narrazione (quando il teatro sa raccontare una storia il risultato si vede) dimostra un uso raffinato nella scelta di intercalare momenti di soave leggerezza ad altri più pregnanti di contenuto. Non scade mai nel comico fine a se stesso quanto, invece, dimostra come si possa far divertire il pubblico senza rinunciare a far riflettere, perché è questo il compito e la responsabilità del drammaturgo/regista e interprete del contemporaneo. “Esilio” è una denuncia sobria ma diretta nel far emergere come sia difficile sopravvivere per chi non è più in grado di avere peso e potere nel vivere d’oggi.

Roberto Rinaldi

“Esilio”, bel testo di Mariano Dammacco, due monologhi che si intrecciano e che, anche se non rinunciano a una sottile inquietudine, sanno essere smaglianti di arguzia e ironia. […] una messinscena all’insegna dello stato di grazia. Dammacco ci sembra ricongiungersi alla perfezione formale e alla profondità dei suoi testi più significativi in cui riusciva ad affascinare lo spettatore nello stesso tempo disorientandolo. E poi, straordinaria, Serena Balivo che, in vesti maschili, non solo è credibilissima ma riesce a rappresentare l’essenza stessa di un uomo alla deriva.

Nicola Viesti

 

 

…] L’uomo senza lavoro è un uomo che ha perso l’anima – comunque la si voglia chiamare – dice l’Autore. La sua è una verità difficile da contraddire perché la situazione che egli descrive con grottesca crudeltà rientra in un fenomeno che da diversi anni ha cambiato il mondo del lavoro, mostrando di essere ormai irreversibile e che si traduce in una precarietà sempre più diffusa, che porta con sé conseguenze di cui ancora non abbiamo del tutto valutato la drammaticità. L’omino (impersonato dalla brava Serena Balivo), come un novello Charlot, tentenna, si muove come una marionetta, si angoscia per la sua situazione di disoccupato, passa tutti i tormenti di questa dolorosissima “via crucis”, che lo porteranno all’esilio dal mondo dei viventi. L’autore analizza con attenta e sadica precisione, attraverso un testo di notevole spessore psicologico, lo fa però anche con ironia delicata mai troppo corrosiva, in un’atmosfera di trasognato incantamento, resa bene anche dalla recitazione “lunare” della Balivo. […] Ci piaccia o meno questa è la realtà. Ben vengano, quindi, contributi teatrali che cercano di farci comprendere quello che sta accadendo in bene ma, soprattutto, in male nella nostra società del lavoro.

Ugo Perugini

 

Uno dei pregi del lavoro di Dammacco/Balivo è l’equilibrio tra malinconia e ironia, tra risate e commozione, tra ingenuità e sottigliezza.

Il testo è intelligente, acuto, profondo (come fu per L’inferno e la fanciulla) e mostra un autore che si guarda intorno e cerca di capire. Esercizio che può occupare la vita intera.

Ho tanto condiviso la sensibilità di due artisti che insieme pensano e cercano, trovano la ridicolaggine del mondo e la inscenano, affettuosamente.

Elena Scolari

 

Ritengo Esilio il primo testo veramente completo e analitico di teatro post-umano, che ci colpisce perché ha la visionarietà di un libro di fantascienza ma senza tirar fuori extraterrestri e astronavi.

Renzo Francabandera

 

Ad abitare il corpo sensibile di quest’uomo che non ha più neanche un nome da consegnare agli altri, una Serena Balivo sapiente, misurata, ironica, toccante, in grado di modulare stati d’animo ed intensità con assoluta disinvoltura. A dividere con lei la scena, un Mariano Dammacco che è voce narrante e dell’anima. La sua regia centrata, la sua scrittura astratta e concreta al contempo, cifra di una maestria maturata in anni di militanza teatrale, sferra parole soavi che pesano come macigni, piene di purezza e letali, per il carico di verità che si portano dentro.

Valentina De Simone

 

Tramutando la presa di coscienza in perdita d’anima, la Piccola Compagnia Dammacco narra la fine di un mondo microscopico che, sorprendentemente, ci coinvolge tutti.

Il teatro della Dammacco guarda con affetto i reietti della società e percepisce la loro marginalizzazione come un processo interamente riconducibile al passaggio da produzione di senso a produzione di beni come unica raison d’être. Affabulando il declino dell’essere con toni surreali ma vigorosamente onesti, le parole del drammaturgo – in bocca alla sua attrice – la tingono, come un caleidoscopio, di tutte le sfumature emotive possibili e immaginabili operando un gioco umoristico che non scade mai nel macchiettistico e andando a toccare con delicatezza le corde più profonde.

Francesco Chiaro

 

Esilio della Piccola Compagnia Dammacco è uno spettacolo di buona fattura, il cui linguaggio è contemporanea coniugazione di parola e azione scenica, con una eccellente Serena Balivo en travesti che con movenze alla Charlot e tono querulo dà vita ad un’essenza umana che assomiglia ad un uomo d’altri tempi calato nell’oggi, emblema di una discrasia tra individuo e contesto, tra l’umanità delle affezioni e la mortificazione che il mondo esterno perpetra. La scena è un quadrato di legno, zattera d’una deriva precaria, su cui si consuma un naufragio dell’anima […] mescolando i toni del surreale ad una pantomima efficace, Esilio tratteggia un espressionistico affresco della solitudine dell’uomo moderno, perso nel guano strutturale di una società e dei suoi guasti; lo fa mostrando una cifra espressiva interessante, meritevole di essere seguita.

Michele Di Donato

 

“Esilio”, questo secondo capitolo della “Trilogia della fine del mondo” di Mariano Dammacco, è ode ad una speranza ostinata espressa fra le righe con prudente discrezione. Serena Balivo è straordinaria nelle vesti dell’uomo qualunque (ma che proprio “qualunque” non è). E lascia il segno anche lo stesso Dammacco nel ruolo dell’Anima.

Italo Interesse

 

Narra e percorre le sue disavventure, dal licenziamento alle inutili ricerche di un nuovo posto, fra ricordi grotteschi (amori, amicizie, parenti), tutti in chiave di disavventura cosmica, epocale e definitiva. Buona la scrittura di questo testo […]. Molto brava, e molto apprezzata dal pubblico del Kismet, l’attrice in campo, la Serena Balivo nella sua performance attorale con i suoi tic, la gestualità meccanica e sghemba, le intonazioni e le spezzature di voce e tonalità: notevole. A Dammacco e Balivo gli insistiti applausi del pubblico.

Pasquale Bellini

 

Viene confermato in questo lavoro il linguaggio scenico della Piccola Compagnia: centralità della parola e del racconto; ricreazione di una lingua che, pur chiara e comprensibile, non rinuncia all’accensione poetica e a invenzioni stralunate; attaccamento profondo all’humanitas, dove unicità e universalità dell’esperienza convivono; varietà dei registri utilizzati; essenzialità dei mezzi scenici impiegati.

Stefano Serri

 

Esilio, della Piccola Compagnia Dammacco, il percorso mentale ed emotivo di un omino che, perdendo il lavoro, vede sfaldarsi a poco a poco la sua identità. Aleggia sull’intero spettacolo un’ironia un po’ surreale, come è nelle corde di Mariano Dammacco.

Claudio Facchinelli

 

Imprime un segno anche Esilio di Mariano Dammacco e Serena Balivo, sospesi, entrambi in scena, in un ritiro intimo e fortemente politico in se stessi, in fuga dalla contemporaneità. Baffi sottili e un completo maschile che le disegna un corpo morbido e buffo, Serena Balivo abita le parole tenere e pungenti di un dignitosissimo Charlot dei giorni nostri, licenziato ed espulso meccanicamente e kafkianamente dalla società. Di una generosità rara, il suo monologo riverbera le screziature inespresse di una vulnerabilità umana aggredita e inerme che soffre la velocità di questi tempi disumanizzanti.

Francesca Saturnino

 

 

[…] E, last but not least, una sorpresa, almeno per me, è stato sicuramente L’inferno e la fanciulla, regia di Mariano Dammacco, che ha per protagonista (ma anche come coautrice) la ballonzolante, bravissima Serena Balivo, all’inizio bambina stupefatta davanti a tutto, in ansia per la sua “entrata in società”: il suo primo giorno di scuola. Una bambina che parla in falsetto, che sembra aver paura di tutto, che va incontro al mondo con un po’ di tremore ma che ne riceverà un’educazione che le farà conoscere l’autorità, la voglia di ribellarsi, l’ansia di trovare qualcosa che l’attragga. Malgrado l’andatura a balzelloni, che la fa apparire come una preda facile per tutto e tutti, la ragazzina non è certo un personaggio felliniano, né alla Charlot, ma assomiglia, piuttosto, alla terribile, ribelle Mafalda di Quino. Che nel suo viaggio per il mondo dei grandi scopre di potere essere cattiva, di potere offendere e difendersi, costi quel che costi. Una ragazzaccia pronta a ribellarsi… e allora addio falsetto!

Maria Grazia Gregori

 

 

L’inferno e la fanciulla incontrato con piacere allo Start di Napoli, elegante ed inconsueto percorso, solitario e visionario, di Serena Balivo all’inseguimento di fantasie, ansie, realtà non sempre gratificanti.

Giulio Baffi

 

 

[…] Il testo de L’inferno è la fanciulla è scritto da Mariano Dammacco con l’interprete Serena Balivo, è un testo intelligente (qualità non così frequente nella drammaturgia contemporanea italiana), un testo che con la soavità dell’umorismo sa suggerire un pensiero acuto che può scaturire solo da chi guarda le cose con profondità, da chi osserva intorno a sé (e dentro di sé) con la consapevolezza di dover cercare, testardamente, una condizione che permetta di crescere, anche quando si è già grandi, perché grandi non si è forse mai veramente. Si ride, si ride spesso con questa bambina spiritosa, buffa nel suo essere già capace di prendersi in giro, caratterizzata da un atteggiamento cogitabondo sul mondo e su tutto ciò che lascia perplessi, una piccola filosofa il cui principio primo sembrerebbe essere un coraggioso buon senso, un personaggio che si presenta come surreale ma risulta infuso di una saggezza invidiabile.

Abbiamo seguito la Piccola Compagnia Dammacco e l’attrice Serena Balivo da Assedio a L’ultima notte di Antonio e in questo spettacolo apprezziamo maturazione recitativa e originalità di interpretazione evidenti.

La qualità della scrittura del testo è data anche dal saper evitare il ditino alzato, le riflessioni si insinuano senza mai suonare professorali. I pensieri tintinnano, non tuonano, ma quel suono lieve riverbera in testa a lungo.

“L’inferno è la fanciulla”, pronuncia Balivo con voce di donna, sta tutto dentro di noi, il mostro e l’angelo, il buio e la luce, la vita sta nel governarli.

Elena Scolari

 

 

[…] Il merito di Dammacco e della Balivo non risiede nella scelta di trattare un tema anagrafico e sovraindividuale [...] piuttosto questo merito mi sembra risieda nel trattarlo trasfigurandolo scenicamente e rifiutando quindi il ricalco realista, lo sconforto esplicito o la rivendicazione diretta e rancorosa. Dammacco e Balivo agiscono fondendo gli archetipi della favola all’epicità teatrale generando uno spettacolo in cui, il personaggio, costantemente si riferisce al suo pubblico esponendo e commentando se stesso. Ne viene un’esposizione d’artifici o, per citare una battuta del testo, “una grottesca galleria di caricature” motorie, gestuali, verbali e argomentative [...] A ciò si aggiungano la regressione anagrammatica del linguaggio e l’invenzione di spazi immaginari e salvifici […] e si unisca tutto ciò alla formalizzazione di una trama plausibile perché si generi – in chi assiste – un parziale coinvolgimento emotivo, una commozione divertita, una tenerezza momentanea. Si tratta di una reazione cercata e ottenuta perché questo stesso pubblico venga gelato dagli improvvisi frammenti d’amarezza […] In questo contrasto tra ciò che intenerisce o fa sorridere e ciò che ci rende invece testimoni di una sofferenza intima ecco il valore effettivo del lavoro svolto, capace d’incidere sui livelli d’intensità inducendo lo spettatore ad affezionarsi a una creatura e alla sua favola, salvo poi accorgersi – lo stesso spettatore – che non si tratta di una creatura e che la favola in realtà è un dramma. [...] Colpisce l’apparente semplicità visiva, la voluta pochezza dei mezzi materiali impiegati e colpisce l’abilità della Balivo, brava nel tessere la sua presenza attoriale legando pantomima e testimonianza, clownerie e confessione, allegoria e tristezza. Alla fine gli applausi sono dunque meritati.

Alessandro Toppi

 

 

[…] Enigmatico e affascinante è poi anche il nuovissimo L’inferno e la fanciulla, ideazione e drammaturgia di Mariano Dammacco a partire da uno studio condotto dall’interprete Serena Balivo, che nel 2011 le valse la vittoria al Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro. In scena l’attrice dà vita a un personaggio infantile, o che forse cerca disperatamente di persistere in una dimensione fanciullesca, messa alla prova dalle disillusioni incontrate nel cammino, impaurita e rabbiosa di fronte al mondo che la circonda, insofferente al potere e ai dettami dell’età adulta. Un percorso – come dice lo stesso Dammacco – «che svelerà che il vero e proprio inferno sulla terra della protagonista, o forse di molti di noi, sta nel rischio di restare per sempre nella condizione di figli, imprigionati in una proiezione mentale di se stessi adulti senza che questa si concretizzi mai in realtà. Una sorta di manifesto delle ultime generazioni fino ad affermare che l’inferno è la fanciulla». La Balivo è bravissima nel porgere una lingua ibrida, ammantata di motteggi, contornata di anglismi, dialettismi e neologismi, racchiusa in una dimensione quasi da regressione autistica, enfatizzata anche dai movimenti rallentati e insicuri. E solo in qualche momento la parlata assume connotati «normali», per sprofondare di nuovo in questo slang teatralmente efficacissimo. […]

Leonardo Mello

 

 

[…] Punto di forza dello spettacolo è una drammaturgia a quattro mani, in cui il regista Mariano Dammacco e l’attrice Serena Balivo riescono a equilibrare timbro, registro e armonia per ognuno degli strumenti impiegati (testo, attore e spazio scenico). Risultato di questo processo è la totale assenza di smagliature tra parola e interpretazione, con un risultato unitario e compatto, pur nella scelta del registro grottesco […] affiancando sorrisi o aperte risate a momenti di orrore e di abisso esistenziale. Anche sul piano linguistico, l’uso frequente di neologismi è sostenuto dall’attrice con una fonesi più perturbante che infantile, così come la mimica ricorda più la super-marionetta di Kleist che una rassicurante bambola di pezza. Quello che poteva limitarsi a una fiabesca esplorazione del punto di vista di una bambina sulla vita è squarciato da spiazzanti parentesi sceniche, sottolineate da luci quasi espressionistiche, dal ritorno al normale timbro vocale dell’interprete e dalla predominanza della riflessione sul racconto. […] “L’inferno e la fanciulla” realizza, con piena consapevolezza dei mezzi utilizzati, una perfetta “Klangfarbenmelodie”, quella melodia di timbri che in Schoenberg trasforma il colore/timbro armonico in discorso, mostrando tutta l’ambiguità del linguaggio tonale convenzionale. Lo spettacolo è estremamente raffinato nella concezione, ma immediato nell’impatto. 

Stefano Serri

 

 

C’è un artista appartato, in perenne crisi con se stesso, che persegue una costante messa in discussione delle proprie certezze attraverso le tappe successive di una ricerca incessante e pluriennale.

Ha il tocco garbato della timidezza e la sfrontatezza di un dubbio sistematico che sa farsi esibizione – spettacolare ma anche surreale – del proprio mondo e delle proprie insicurezze. Stiamo parlando di Mariano Dammacco, regista, attore e autore […]. Una scrittura che è flusso verbale poetico, addirittura lirico o onirico, che si alterna a momenti di feroce semplicità, d’immediata adesione alla realtà o di invettiva cruda. Nell’impianto registico, Dammacco mantiene fede all’attenzione per l’attore, per il corpo e la cifra dell’interprete. Corpi che si spezzettano in una innaturalezza quasi grottesca: se Mariano, dal canto suo, non cela né dissimula il suo essere dunque “a disagio”, ed anzi ne fa – forse involontariamente – una cifra, con lui in scena vi è la brava Serena Balivo, artefice di un percorso millimetrico di adesione a un personaggio-maschera, marionetta drammatica che sprigiona, però, tenerezza. […]. Fa bene, dunque, Dammacco a riaffermare con forza il suo essere drammaturgo e autore, fa bene a insistere nella sua ostinata e appartata ricerca. I frutti di questo lungo viaggio, esistenziale e artistico, hanno il gusto amaro di una consapevolezza acquisita senza scappatoie o facili soluzioni. 

Andrea Porcheddu

 

 

[…] il tragicomico racconto che Mariano Dammacco e Serena Balivo fanno rivivere con L’ultima notte di Antonio, tassello iniziale della “Trilogia della Fine del Mondo” che vede i due bravi interpreti in un’impegnativa prova di un teatro essenzialmente di parola, ma anche fortemente agito. Cronistoria di una morte annunciata, la derniere nuit del cocainomane Antonio dove si alternano squarci poetici a sequenze di limpido e spiazzante grottesco: la solitudine come la ricerca dell’amore, il desiderio dell’altro come l’anelito alla fuga, tutte tematiche che emergono da un ascolto per il quale lo spettatore è inconsciamente chiamato ad astrarsi, ad assecondare un improvviso istinto voyeuristico che lo spinge ad uscire dalla sala per sbirciare Mariano e Serena dal buco della serratura. Il tutto grazie ad una scrittura inquietante ed a tratti spiazzante per un viaggio di sola andata nell’inferno di un’anima che non trova riparo né pace: e se Mariano Dammacco con estrema bravura disegna nell’aria movenze impalpabili fuori dal tempo e dallo spazio, un candido ed ingenuo sollievo ce lo offre la goffa e distonica andatura di Serena Balivo, umanissima creatura in un costume deformante che la trasforma in una marionetta dal robotico incedere.

Roberto Canavesi

 

 

Ma che dico buono, l’ottimo risultato cui approda fin dalle prime repliche pubbliche “L’ultima notte di Antonio” di Mariano Dammacco e della sua giovane compagnia, merita una riflessione e un’indagine. […] sfodera un colpo di talento che sorprende lo spettatore. Innanzitutto per il testo, una proposta coraggiosa come da tempo non si vedeva […] arriva a piazzare un colpo sorprendente. […] Parliamo, di solitudine, algida, amletica solitudine, ma con un intreccio della vicenda, un modo di prendersi sul serio il giusto, che lascia respiro, nell’ora di recita, ad un’aria teatrale fresca, che di rado si assapora. […]

Renzo Francabandera

 

 

[…] Un cocente magma intimo fatto risaltare e ispessito dalla correlativa amplificazione delle voci che, lungo lo spettacolo, riversano nei microfoni la drammatica poesia testuale concepita dall’autore con struggimento e nondimeno ironia. Infatti, si ride nel corso della messinscena […]. Dammacco libera movenze sognanti e gesti di aerea levità da spirito d’altri mondi, riequilibrandoli tuttavia nell’impadronirsi carismatico e deciso della scena di cui è la ragione ed espressione principale; […] tra esplosivi lampi nel buio del teatro e stroboscopie da delirio psichedelico, dove vortica il Big Bang di uno spettacolo che attraversa le frontiere della morte per ritrovare territori nuovi della vita. Un conturbante esodo che può rivelarsi l’oggetto di culto della prossima stagionale teatrale, purché vi siano addetti e operatori lungimiranti che intendano proporlo a platee di persone vogliose ancora di stupirsi.

Damiano Pignedoli

 

 

[…] Serena Balivo (ventinovenne milanese) entra ed esce continuamente dal suo corpo di donna/bambina, modula sorprendentemente la voce, con gli occhi vivi e penetranti passa da una variante d’inferno all’altra. Cinquanta minuti densi e tirati, in cui, inoltre, si ride molto e molto amaramente. Sul sottotesto straniante della fiaba (cui contribuisce un’indovinata selezione di musiche strumentali) ci viene narrata senza filtri la condizione di un’intera generazione, cui anche i componenti di questa giovane compagnia teatrale fanno parte. Con una leggerezza intelligente e una semplicità ammirevole (sia drammaturgica, che di allestimento), questo lavoro ci riporta a una delle funzioni primarie del fare teatro: l’urgenza, la necessità di raccontare e problematizzare la realtà che ci circonda, giocandoci, anche, solo come sopra a un palcoscenico può succedere.

Francesca Saturnino

 

 

[…] Serena Balivo è l’interprete di questa allegorica condizione di chi non è più fanciullo e non riesce a diventare grande, ed è anche co-autrice del monologo insieme al regista Mariano Dammacco. Colpisce la sua capacità di controllare ogni minimo gesto, di convertire la sua presenza adulta in un distorto utilizzo del corpo e della voce; in ciò però non c’è nulla di meccanico, ma riesce invece a definire nello spazio vuoto una gestualità curata nei piccoli particolari di cui è abilmente padrona, coadiuvata da un’argutissima alternanza di spirito e di grottesco. […] Nella distorsione fisica e vocale del personaggio di Serena Balivo e Mariano Dammacco rinveniamo parti di ciascuno di noi, del nostro senso di inadeguatezza – questo, il male assoluto dei nostri tempi – rispetto al voler pienamente vivere la condizione di adulti. Un tema senz’altro profondo, paradigma comune a tanti che con questo spettacolo vediamo declinarsi in maniera originale scevro di ogni banale retorica, veicolato attraverso una compresenza di registri stilistici ed un approccio estraniante riguardo alla drammaturgia, congiunti ad un lavoro attoriale, davvero interessanti.

Ester Formato

 

 

[…] surreale/allegorico/apologetico viaggio de L’inferno e la fanciulla di Mariano Dammacco […] con la convincente, vivacissima Serena Balivo in scena (pure coautrice della drammaturgia originale). […] Monologo giocato sul piano del viaggio di formazione, di un continuo confronto tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, tra la vita e il sogno, la quotidianità (spesso grama, soffocante, deludente) e la speranza (fondata? Vana? Spasmodica? Blanda?) riposta in un’esistenza che si spera esaltante e condivisa con anime affini, la pièce firmata dalla coppia Dammacco-Balivo non delude, tanto per cominciare, le aspettative di un pubblico affamato di teatro e in astinenza da nuovi orizzonti. Questo, sia sotto il profilo dell’armonia che lega testo e interpretazione e sia per i continui rimandi ad un teatro ora raffinato (Kleist, è stato scritto) ora popolare (l’uso di neologismi e di accentuazioni fisiche nella recitazione ne è una precisa e puntuale conferma), col risultato di dar voce e gambe ad un teatro degno d’essere visitato […]. La protagonista è […] una creatura inevitabilmente inadeguata, sognatrice, fragile, talvolta sgangherata e infantile ma a suo modo perfino commovente, con diversi tratti paradigmatici ma al contempo intrisa di pura e semplice poesia […].

Antonello Fazio

 

 

[…] straniante drammaturgia composta da Mariano Dammacco insieme all’interprete Serena Balivo a guidarci nell’inferno della quotidianità e delle nostre paure, tra allegoria e umorismo, (in)sofferenza, sogno e inadeguatezza. Cigno e brutto anatroccolo, burattino o ballerina anchilosata, la Balivo è un personaggio surreale teneramente sgraziato nell’abitino bianco a campana. È un’impacciata Alice nel Paese delle Meraviglie bisognosa di logopedista. Le musiche da carillon, unite a escursioni sonore alla Morricone stile spaghetti-western, raddoppiano la dissonanza persistente tra compostezza e disarmonia, proiettando gli spettatori in un orizzonte indefinito. […] questo spettacolo trasmette un senso di meraviglia. Attraversiamo sentimenti negativi come la rabbia e la sfiducia, la misantropia e la frustrazione. Partecipiamo allo sforzo di diventare adulti. Ricadiamo nella realtà atterrandovi morbidamente, con quell’ombrello che la protagonista apre come Mary Poppins.

Vincenzo Sardelli

 

 

[…] Con il passare del tempo Dammacco sembra farsi ancora più rigoroso e poco conciliante quasi che ciò che viviamo non possa che essere riportato in scena da una scrittura senza mediazioni. Comunque riesce a spiazzarci con un allestimento per certi versi dissonante e sorprendente, una rappresentazione dal sapore espressionista e straniante che crea mondi altri al di fuori delle parole, mentre con Serena Balivo imbastisce una specie di balletto meccanico che crea un cortocircuito tra quotidianità degratada e tracce di cultura.

Nicola Viesti

 

 

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